PARKINSON. INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO. LA CASSAZIONE SPIEGA COME SI DEVE INTERPRETARE LA LEGGE PER IL SUO RICONOSCIMENTO.
Cassazione – Sez. LAVORO CIVILE, Sentenza n.24980 del 19/08/2022 (ECLI:IT:CASS:2022:24980CIV), udienza del 20/04/2022, Presidente BERRINO UMBERTO Relatore CALAFIORE DANIELA
La capacità dell’invalido di compiere gli elementari atti giornalieri è da intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psicofisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l’incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua dignità come persona (anche l’incapacità ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità dei loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto Cass. 11 settembre 2003, n, 13362). In sostanza, la giurisprudenza di legittimità esprime la necessità di procedere alla effettiva e concreta valutazione del livello di perdita autonomia complessiva.
L’indennità di accompagnamento è prevista in favore dei < mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste dall’art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un’assistenza continua>.
Nell’interpretare tale disposizione, la Corte di Cassazione, pur nella varietà delle concrete fattispecie esaminate, ha consolidato il principio secondo cui l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un
accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua, richiesti, alternativamente, ai fini della concessione dell’indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, sono requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà„ (cfr. Cass. n. 6091 del 2014; Cass. n. 26092 del 2010; Cass. n. 12521 del 2009; Cass. n. 7558 del 1998; Cass. n. 636 del 1998); tale impossibilità, anche in ragione della peculiare funzione dell’indennità di accompagnamento, che è quella di sostegno alla famiglia così da agevolare la permanenza in essa di soggetti bisognevoli di continuo controllo, evitandone il ricovero in listituti pubblici di assistenza, coi, cui i diminuzione della spesa sociale (cfr. li. 28705 del 2011), deve essere attuale e non meramente ipotetica; ai fini della valutazione dei requisiti di cui alla L. n. 18 del 1990, art. 1, non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilità (cfr., Cass., 7273 del 2011; Cass. n. 12521 del 2009; Cass. n. 10281 del 2003).
Occorre aggiungere, con riferimento all’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita nel caso di malattie psichiche, che questa Corte (da ultimo con Cass. 11432 del 2017) ha in più occasioni ribadito che l’indennità
di accompagnamento va riconosciuta anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale,
assumere con corretta posologia le medicine prescritte) necessitino della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovuti a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non siano in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sè o gli altri. Vanno, al riguardo citati gli
arresti in materia di psicopatie con incapacità di integrarsi nel proprio contesto sociale. Così, ad esempio, è stato riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento: a persona che, per deficit organici e cerebrali fin dalla nascita, si presentava incapace di stabilire autonomamente se, quando e come svolgere gli atti elementari della vita quotidiana, riferendosi l’incapacità non solo agli atti fisiologici giornalieri ma anche a quelli direttamente strumentali, che l’uomo deve compiere normalmente nell’ambito della società (Cass. 7 marzo 2001, n. 3299); a persona che, per infermità mentali, difettava anche episodicamente di autocontrollo sì da rendersi pericolosa per sè e per altri (Cass. 21 aprile 1.993, n. 4664); a persona che, per un deficit mentale da sindrome psico-organica derivante da microlesioni vascolari localizzate nella struttura cerebrale e destinate a provocare nel tempo una vera e propria demenza, non poteva sopravvivere senza l’aiuto costante del prossimo (Cass. 22 gennaio 2002, n. 667); a persona che, anche per un deterioramento delle facoltà psichiche (in un quadro clinico presentante tra l’altro ictus ischemico e diabete mellito), mostrava una incapacità di tipo
funzionale, di compiere cioè l’atto senza l’incombente pericolo di danno (per l’agente o per altri) (Cass. 27 marzo 2001 n. 4389); a persona che, affetta da oligofrenia di grado elevato, con turbe caratteriali e comportamentali, era incapace di parlare se non con monosillabi e di riconoscere gli oggetti,
versando così in una situazione di bisogno di una continua assistenza non solo per l’incapacità materiale di compiere l’atto, ma anche per la necessità di evitare danni a sè e ad altri (Cass. 8 aprile 2002, n. 5017). Si veda anche Cass. 23 dicembre 2011, n. 28705 con riguardo ad una diagnosi di psicosi schizofrenica paranoidea (demenza precoce), nonchè Cass. ord. 27/11/2014 n. 25255, in un caso di “oligofrenia di grado medio grave in soggetto affetto da cerebropatia” e Cass. ord. 25/7/2016 n. 15269 in un caso di “deficit intellettivo di grado medio e psicosi schizofrenica in trattamento con neurolettici atipici”.
In un siffatto contesto ricostruttivo va, dunque, ritenuto che la capacità dell’invalido di compiere gli elementari atti giornalieri debba intendersi non solo in senso fisico, cioè come mera idoneità ad eseguire in senso materiale detti atti, ma anche come capacità di intenderne il significato, la portata, la loro importanza anche ai fini della salvaguardia della propria condizione psicofisica; e come ancora la capacità richiesta per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento non debba parametrarsi sul numero degli elementari atti giornalieri, ma soprattutto sulle loro ricadute, nell’ambito delle quali assume rilievo non certo trascurabile l’incidenza sulla salute del malato nonché la salvaguardia della sua dignità come persona (anche l’incapacità
ad un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e per l’imprevedibilità dei loro accadimento, attestare di per sé la necessità di una effettiva assistenza giornaliera: cfr. per riferimenti sul punto Cass. 11
settembre 2003, n, 13362). In sostanza, la giurisprudenza di legittimità esprime la necessità di procedere alla effettiva e concreta valutazione del livello di perdita autonomia complessiva.
Nel caso di specie, la Corte di appello risulta essersi attenuta ai richiamati principi, in relazione ai quali ha puntualmente argomentato. E, difatti, ha ancorato la propria valutazione alla considerazione che la malattia di
Parkinson era presente in forma non avanzata, come da certificazione neurologica e della terapia osservata per cui non era stata compromessa la deambulazione (prima della frattura dei collo dei femore sinistro con ricovero
in riabilitazione del giugno 2013) né la capacità di compiere atti fondamentali della vita.
La ricorrente, in modo piuttosto apodittico, lamenta la violazione di legge, che avrebbe dovuto comportare il riconoscimento sin dalla data di presentazione
della domanda amministrativa, in ragione del fatto che l’assenza di autonomia
sarebbe stato ancorata alla mera capacità esecutiva di taluni atti come lavarsi
e vestirsi e non alla capacità di comprendere quando tali atti dovrebbero
essere compiuti. In sostanza, si ritiene che la condizione necessaria dovesse
essere considerata esistente solo per la sussistenza di gravi malattie
neurologiche o di impedimenti dell’apparato motorio, a prescindere da
qualsiasi ulteriore giudizio medico sull’effettivo impedimento a compiere gli
atti della vita quotidiana.
La sentenza d’appello non ha però utilizzato un tale parametro, meramente
formale, e si è attenuta ai principi appena richiamati posto che, con
motivazione congrua, ha escluso che il requisito della impossibilità di
deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore potesse dirsi
integrato in base alle conclusioni della mera attestazione di un grave deficit
della deambulazione, ossia una grave riduzione della capacità di deambulare,
ed inoltre, non potendosi parlare di reale perdita di autonomia dipendente dal
morbo di Parkinson che non si era manifestata in forma grave.